Cultura

Michele Tullo: «Molti non sanno che a Bitonto c’è un quadro di Delacroix»

Augusto Ficele
La Galleria Devanna
La vita fra tele e opere d'arte del "custode" della Galleria Nazionale della Puglia
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Quando si parla di musei si pensa ai quadri che vi sono esposti, alle mostre allestite, all’affluenza di visitatori, a volte ordinariamente modesta, altre sorprendentemente elevata. Ma si pensa mai ai custodi, al loro ruolo, al loro sguardo? Difficile che venga preso in considerazione il loro punto di vista. Sembrano il più delle volte automi vaganti fra una sala e l’altra, in attesa della fine dell’orario di servizio, o immobili sulle sedie a fissare il vuoto. Se si palesano è per un irritabile zelo, con frasi da copione: «Mi scusi, non è possibile scattare con il flash, grazie», oppure con tono militare: «Cortesemente la mascherina sul naso, grazie».

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Eppure dietro il loro compito di sorveglianza affiorano pensieri inespressi, depositi di storie accumulate nel tempo. Michele Tullo dal 1981 lavora per il Ministero dei Beni Culturali, per anni è stato impiegato al Museo archeologico Jatta di Ruvo, da dodici anni è il custode della Galleria Nazionale della Puglia a Bitonto, ed è qui che concluderà il suo percorso lavorativo.

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A inizio intervista precisa con delicatezza che non si utilizza più l’appellativo “custode”, sostituito da un’espressione ben più tortuosa, simile per lunghezza ai titoli filmici della Wertmüller: assistente alla fruizione, accoglienza e vigilanza”.

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Per la città di Bitonto, Palazzo Sylos Calò, sede della collezione Devanna, è un importante punto di riferimento culturale. «I visitatori non sono solo italiani, vengono anche da altri Paesi europei per ammirare le opere di De Nittis, Salvator Rosa e di Artemisia Gentileschi. Questo – ribadisce Tullo – grazie alla speciale generosità dei donatori Girolamo e Rosaria Devanna, che hanno reso fruibile al pubblico il loro splendido patrimonio artistico. Però bisogna fare di più per promuovere queste sale, molti non sanno che c’è un Delacroix».

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Per Michele Tullo, la Galleria Devanna è una seconda casa, una famiglia silente e a suo modo espansiva. Sottolinea la profonda umanità del collezionista Mino Devanna, scomparso il 30 luglio scorso. «Quasi ogni giorno – racconta – veniva a trovarmi per rivedere i suoi dipinti con lo stesso stupore provato la prima volta».

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In alcune giornate, quando non ci sono visitatori, il custode si confronta con la propria solitudine, attorno alla quale ruotano figure in apparenza ferme, pronte a rivelare la tensione interiore dello spettatore: «C’è un quadro del Cinquecento in particolare, che mi ha sempre attirato, ed è la Natività di Pietro Negroni, detto Lo Zingarello. Adopera una tecnica abilissima nel tratteggiare una specie di ombra sul velo di Gesù bambino, non tutti la notano, è come se fosse un’immagine impressa, è molto probabilmente il volto di San Giuseppe riflesso sul tessuto. Un altro dipinto su cui mi sono soffermato a lungo è La cattura di Cristo di Hendrick Van Steenwyck Il Giovane. Mi lascia attonito per l’aspetto caravaggesco, il taglio di luce che emana la torcia in mano al soldato è sorprendente. Ogniqualvolta lo rivedo, cerco di monitorare lo spazio dell’opera, se ha acquistato luminosità, o se il buio è retrocesso. Poi ci sono i ritratti nella sala dell’Ottocento: giovani, nobildonne, gentiluomini. Forse sono loro che seguono il mio sguardo, cercano un contatto, provo questa vaga sensazione».

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Michele ha un volto quieto, più volte ribadisce che il suo compito è vigilare attraverso le telecamere a circuito chiuso, controllare le posizioni dei quadri e le eventuali anomalie. Passeggia tra le sale come se pattinasse indisturbato. Durante l’intervista si ferma sul dettaglio di un piccolo olio di De Nittis intitolato Trafalgar Square. Con gli occhi scava in profondità, allunga l’indice verso il Big Ben dipinto in lontananza, sorride a labbra strette, non aggiunge altro. Si viaggia anche così.

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domenica 6 Febbraio 2022

(modifica il 4 Luglio 2022, 17:03)

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