Spettacolo

Parlarsi e sorridere, possibile “antidoto” alla crisi secondo Fusaro e Giugliano

Marino Pagano
Raffaello Fusaro e Rossella Giugliano
I due attori bitontini sono stati protagonisti della commedia "Domani ci sposiamo", portata in scena con successo al Traetta
scrivi un commento 24

La crisi è etimologicamente figlia di un giudizio, di una scelta. Siamo in crisi, il mondo è in crisi perché forse amaramente rispondiamo ad una domanda che richiami un orizzonte di senso. Ultimo, drammatico. E però tenace. Tenacia che talvolta trovi nelle domande che spiazzano, in una strada fortuita o in un viaggio che sulle prime avresti detto sbagliato. Se si vuole, in una sorta di indicibile e sorprendente buio. Un buio che finisce per illuminarti, persino. Siamo a teatro, al Traetta. Sul palco due assoluti protagonisti, mattatori in senso antico: Rossella Giugliano e Raffaello Fusaro, noti ai bitontini tanto da rendere superflui nostri excursus biografici.

nn

"Domani ci sposiamo" (produttore Ivan Dell'Ederacooperativa Kokopelli</strong>; tecnico delle luci Pino Loconsole) il titolo della loro opera: spazio dove c'è posto per sorrisi, mordaci frizzi, meditazioni, musica accattivante e sinuose danze, attese che poi svelano assenze. La crisi, appunto. Due ragazzi e un incontro. Si capisce: diverranno amanti. Accade la magia dell'amore e con essa anche la realtà della crisi di pensiero forte. C'è il loro amore, l'importante appuntamento, il futuro. Ma c'è un presente che in realtà non è pensato. Qui la chiave: non si pensa, non ci si pensa. Non ci si ferma. Tutto è "liquido", fluentemente diluito nella paura di ogni costrutto che invochi e crei stabilità. Due amanti che amano, con ironia e paura insieme. Un credente (istituzionale, il sacerdote) che forse non crede o vive moderni tormenti. Uno che, travolto dalle domande, fugge dalle sue responsabilità o ama eluderle: un personaggio contemporaneo che aleggia inquietante, che non si vede e però si sente, con tutto il suo carico umano, troppo umano di disincanto. La giustificabile rottura di un ingranaggio (la crisi essendo anche rottura e separazione) è già tutta qui. Il prete sarà forse semplicemente nemico della bellezza, come "una chiesa contemporanea", espressione di una "fede macchiata". Oppure, magari, la bellezza va cercando, con schemi scomposti.

nn

Il testo, benissimo generato dalla fertile mente di Fusaro (che poi lo invera e vivifica con fare imperioso e da padrone della scena), questo racconta: un matrimonio che non si suggella, momento che si vuole dirimente e che infatti taglia in due l'esistenza. L'amore non sembra effettivamente morire, si consuma e frantuma però ogni idea di fissità occidentale (conservata ormai in molte dimensioni in Oriente, del resto per qualcuno la nostra crisi inizia proprio in questo contesto di rifiuto).

nn

La sposa è una fascinosa ed elegante Giugliano, diremmo in stato di grazia: col suo ritardo, spinge sulla strada del dubbio. L'attesa si fa così vorticoso computo di certezze ormai irrimediabilmente sfumate (o forse addirittura mai realmente provate, vissute?). Parte da lei l'impulso alla ricerca esistenziale. Il lavoro, allora, pur nel contorno apparente da commedia brillante con scenografia apertamente minimalista, conduce a diverse riflessioni in merito al destino della nostra civiltà, una mentalità che nella storia ha sempre visto nel matrimonio e nella famiglia la sua base fondante e il suo simbolo apparentemente eterno. Oggi in crisi però non è, a nostro parere, tanto il matrimonio in sé, non è la famiglia in quanto tale. In crisi è il pensiero originante. Che significa oggi sposarsi? Cosa vuol dire amare Cristo per un presbitero (inteso che anche il suo, come i teologi e forse anche gli storici dell'arte sanno, è una sorta di sposalizio)?

nn

In crisi è il senso dei fatti e degli eventi. Il senso delle cose. Cosificazione questo è: costringere il senso dentro l'incapacitante cornice della cosa stessa. La cosa si moltiplica in copiose nullità seriali. Il matrimonio si vedrà così più nei dettagli transeunti (la sala, gli invitati, l'abito) che nelle ragioni precipue e profonde di un'unione e di una relazione.

nn

Non c'è relativismo, non c'è provocazione e basta, non c'è prevedibile decostruzione o dissoluzione. C'è, anzi, la coraggiosa ricerca postmoderna di un tentativo di verità. Come dire: siamo al diluvio, già forse dopo il diluvio. Ricominciamo una genetica, una grammatica, una cosmogonia della speranza. Ecco, si è usciti dallo spettacolo spiazzati, mossi dalla contraddizione del tema del "senza", spesso ricorrente nello spettacolo. Eppure quasi pronti a reagire, figli di felice induzione a capire il motivo detonatore dei nostri tanti "senza".

nn

Dicevamo della relazione. L'incapacità a farsi realmente coppia e a innalzare una complicità vera. Si pensi. Il lessico novecentesco, spesso a livello ideologico e totalitario, ha parlato tante volte di "uomo nuovo" o di "ordine nuovo". La necessità oggi appare piuttosto quella di un discorso nuovo, anche d'amore. E allora, parliamo. Gli occhi, non dimentichiamoli. Qualcosa rimarrà. Magari con un sorriso. La costruzione del sorriso, ecco: una sorta di rivoluzione gentile. Forse l'unico possibile mezzo per "arrivare alle stelle". Il sorriso. Esattamente quello che hanno ostentato i visibilmente compiaciuti Rossella e Raffaello ma soprattutto quello che poi ha animato il pubblico, felice e sinceramente ammirato per tanta riuscita sintonia, per un lavoro che convince, per intuizioni serene e non presuntuose ma di cui si sentiva il bisogno. 

n

martedì 4 Aprile 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 23:58)

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti