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L’ex campione olimpico Abdon Pamich “marcia” sull’atletica italiana

Ivan lorusso
Abdon Pamich
Intervista a tutto campo col marciatore leggendario. Una impareggiabile lezione d'onestà e lealtà
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La cosa più inaspettata che possa accadere dopo un allenamento pre-campionato al cardiopalmo è che a dispensare consigli e segreti sia colui che agli occhi di tutto il mondo, negli anni ’60, ha scritto una memorabile pagina dell’atletica italiana.

Ebbene, sull’altopiano leonessano, in quel che è indiscutibilmente una delle mete più ambite per ritemprare il fisico, è facile notare un signore, che, nonostante le sue quasi ottanta primavere, sia ancora in grado di attirare i complimenti dei giovani podisti per il suo magnifico stile di corsa, la marcia, che quotidianamente pratica per chilometri e chilometri.
Come nulla gli risultasse più facile.

Ma, rovistando nell’almanacco sportivo o chiedendo a chi di Olimpiadi ne ha viste in quegli splendidi anni d’oro, subito si viene a scoprire che l’inarrestabile atleta è nientepopodimeno che Abdon Pamich, medaglia d’oro alle olimpiadi di Tokyo nel 1964.

Per i più giovani, come chi vi scrive, Abdon Pamich, brccato dalle truppe titine e costretto a fuggire a soli 13 anni da Fiume con suo fratello maggiore con il sogno di diventare un pugile, è colui che ha portato ai massimi livelli l’atletica italiana, tanto da conquistare un bronzo nelle Olimpiadi di Roma e un indimenticabile oro nei giochi della XVIII Olimpiade di Tokyo nella specialità della marcia.

Pamich a primo acchito può sembrare un venerabile ottantenne, che, soddisfatto delle sue vittorie, non abbia voglia di parlare se non con i suoi ex rivali, magari per proporre loro ancora qualche sfida.

Ma, captata l’occasione di rivivere la sua splendida gioventù, subito non perde l’occasione per aprirsi: ”Ricordo come il più bel momento la 50 Km di Praga, a inizio carriera, quando Giuseppe Dordoni non volle rappresentare l’Italia in quella competizione internazionale ed allora fui pescato dal Coni e subito buttato tra campioni pronti a schiacciarmi. Ero ancora un ragazzino sconosciuto, ma un ragazzino che fu in grado di realizzare il miglior tempo e su cui  puntarono subito gli occhi i giganti dell’atletica”, dichiara con gli occhi lucidi come se immaginasse ancora quell'inobliabile giorno.

E, chiedendogli dei recenti scandali sul doping che hanno sconvolto l’atletica italiana, con il suo accento croato, che si porta ancora dentro come i ricordi di quella terribile guerra che lo rese profugo in Italia, a bacchettare l'italo-alemanno: ”Schwazer ?!… Non sa perdere! Ha trasformato tutto in un guadagno mediatico. Poteva essere più furbo ed uscirne a testa alta, invece non l’ha fatto. Io, terminata una gara, ero con la testa già alla 100 Km. Ho detto no a borse di studio poiché rinunciarvi significava evitare il doping e, soprattutto, significava continuare a gareggiare lealmente".

"Un esempio – incalza l’ex campione olimpico – è quando ho scelto di gareggiare in Unione Sovietica, dove gli atleti sovietici erano tutti drogati a causa del doping di stato, io lealmente sono riuscito comunque ad arrivare sesto, il primo dei puri. Ed è stata un vittoria morale”.

L’atletica italiana deve sapersi rialzare dalla batosta Olimpica e lo deve fare cambiando filosofia, perché il “devo vincere” è assolutamente sbagliato! Le ambizioni devono servire a divertirsi, il gareggiare per divertirsi è la vera filosofia che può portare a vincere onestamente. L'attuale modo di pensare è errato e lo si evince dalla differenza dei premi, previsti dalla federazione, dai lontani anni sessanta ad oggi”.

Insomma, a pochi giorni dalla notizia choc della squalifica di Schwazer, arriva un valida lezione d’onestà da chi ne ha vinte di medaglie, onorando davvero il tricolore.

Di sicuro, i veri campioni d’altri tempi come Abdon Pamich non li vedremo mai nelle pubblicità della Kinder.
Ma saremo certi della loro onestà agonistica e di quanto siano stati fieri d'esserlo.

venerdì 14 Settembre 2012

(modifica il 29 Giugno 2022, 11:00)

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