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«Sono felice di sposare la Chiesa». Incontro con Nicola Tatulli, sacerdote fra tre giorni

Mariella Vitucci
Don Nicola Tatulli
A 27 anni sarà il primo prete bitontino del terzo millennio. Sabato la cerimonia di ordinazione nel santuario dei Santi Medici
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La sua formazione poggia su quattro figure pilastro: don Camillo, don Pino Puglisi, don Francesco Savino, don Alberto Battaglia.

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Nicola Tatulli, 27 anni a novembre, verrà ordinato sacerdote sabato 10 settembre alle 19, nel santuario dei Santi Medici, la sua parrocchia d'origine. Un'ordinazione speciale perché don Nicola sarà il primo prete del terzo millennio a Bitonto.

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Si presenta all'appuntamento in un bar del centro antico in pantaloni scuri e polo grigia. Parla al cellulare. Sembra un ragazzo come tanti. Invece ha fatto una scelta controcorrente: sposare la Chiesa. 

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Lei è cresciuto con don Francesco Savino, ex rettore della Basilica ed ora vescovo di Cassano allo Ionio. È stata la sua figura guida?

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«Don Ciccio mi ha battezzato e mi ordinerà sacerdote insieme al vescovo diocesano, monsignor Francesco Cacucci. Arrivò ai Santi Medici il 2 ottobre del 1989. Io nacqui il 30 novembre. Sono stato uno dei suoi primi battezzati e poi tutta la mia vita è stata affiancata dalla sua figura. Mi ha aiutato molto anche nella scelta di fare qualcosa per la gente e insieme a Dio. Ma inizialmente non era un modello per me, era soltanto un parroco, un punto di riferimento religioso».

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Don Nicola racconta della sua infanzia e della sua adolescenza, dei suoi studi, dalle elementari alla Fornelli fino alle superiori all'’istituto tecnico industriale: «Cinque anni con materie tecniche. L’umanesimo ho dovuto approfondirlo da autodidatta».

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La scelta di diventare sacerdote l'ha maturata dopo un viaggio ad Assisi: «L'idea si è fatta strada in me dopo quell'esperienza. Ma fin da piccolo ho avuto una propensione al sacro, facevo persino le messe in casa. Quel viaggio ad Assisi mi mise in discussione».

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In crisi, come direbbe don Ciccio?

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«Esatto. Mi sono posto la domanda: cosa posso fare per essere felice? qual è il disegno di Gesù su di me? Dopo i cinque anni delle superiori sono passato in diocesi, seguendo il gruppo "Se vuoi" per un discernimento iniziale. Contemporaneamente frequentavo la facoltà teologica. Quelle materie mi hanno aiutato nella ricerca di me stesso. Poi sono entrato in seminario».

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Il discorso si sposta sulla famiglia: il papà Giuseppe, la mamma Maria, la sorella minore. «Ho una sorella di 20 anni, Ilaria. Di nome e di fatto. Rimpiango di non averla accompagnata nella crescita, perché tutta la sua fase adolescenziale l’ho persa, stando in seminario».

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I suoi genitori sono stati felici della sua scelta?

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«Inizialmente no. Soprattutto mia madre era molto contraria».

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Come ha comunicato loro che voleva diventare prete?

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«Mio padre è malato di sclerosi multipla fin dalla mia nascita, mia madre vedeva in me la spalla per la famiglia. Mio padre si dispiaceva di non poter avere nipotini col suo cognome, visto che sono l’unico figlio maschio. Mia madre si sentiva abbandonata e isolata, impotente a competere con Dio… Per un anno e mezzo non mi ha quasi rivolto parola».

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Don Nicola racconta la sua adolescenza "normale": «Uscivo con  gli amici, ho avuto anche una storia d’amore, durata poco ma comunque bella. I miei amici mi hanno sempre appoggiato, facendo il “tifo” per me perché avevano capito che sarei diventato sacerdote. Forse anche prima di me. Mi vedevano come voce fuori dal coro ma in maniera positiva: non pedante ma un punto di riferimento, un orecchio che ascolta, un cuore aperto. Non mi sono mai sentito solo, anche quando mia madre non voleva più parlarmi».

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Suo padre come ha reagito invece?

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«In maniera molto più serena rispetto a mia madre. Credo per il fatto di essere una persona malata e quindi abituata ad abbandonarsi alla volontà altrui e a vedere una luce in ogni cosa».

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E lei come ha vissuto la malattia di suo padre?

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«Per me era normale. Perché l’ho sempre visto così, si stancava facilmente, aveva bisogno di aiuto, e inevitabilmente sono diventato io tante volte il papà di mio padre».

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Quand’è che sua madre si è “arresa”?

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«Lei portava mia nonna con sé in seminario, a Molfetta, per farmi consegnare i vestiti puliti. Una sera i miei compagni di corso, che vedevano quella scena ripetersi ogni settimana, si appostarono e la presero di forza e la portarono da me».

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Ricorda quel momento?

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«Certo. Mi meravigliai sentendo bussare e trovandomela davanti. Non ci credevo. Per un anno e mezzo le nostre conversazioni si erano limitate al saluto. Quando si pranzava bisognava cambiare subito canale se compariva il papa o un vescovo in televisione, l’argomento chiesa era diventato tabù».

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Sua madre era credente?

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«Sì. Tutte le domeniche a messa, ogni sera il rosario. Però pensava "I figli degli altri sì, il mio no". Smise di frequentare il santuario dei Santi Medici perché non voleva sentirsi dire che era la madre del futuro prete. Non l’ho mai condannata, ho cercato di comprenderla».

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Mentre ricorda un periodo così doloroso don Nicola sorride. Nessuna ombra sul suo viso. La serenità gli viene da dentro, dalla consapevolezza di aver fatto la scelta giusta benché dura: «Mi rendo conto che la vita di un prete è bella, è aperta agli altri sempre, però comporta la perdita di parte della libertà. Negli orari, nelle uscite, nelle amicizie».

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C’è mai stato un tentennamento, un ripensamento?

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«Quello che mi spaventa è la solitudine ma l'ho messa in conto, perché un prete quand'è giovane tutti lo cercano, lo invitano a celebrare, a confessare… Ma con gli anni che passano è destinato ad una vita in solitudine se non si accerchia di una comunità che gli vuole bene».

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La sua esperienza da diacono com’è stata?

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«Il periodo di diaconato dura almeno sei mesi, io ho voluto prolungarlo a nove: il 3 gennaio l’ordinazione diaconale, il 10 settembre quella presbiterale. Sono stato nella Chiesa Madre di Modugno. È stata la mia prima esperienza di ministero, lì ho mosso i primi passi. Ho amministrato i sacramenti, ho guidato un gruppo di giovani, ho avuto responsabilità in parrocchia. Ci sono catechisti che sono molto più grandi di me, e mi sembra strano essere chiamato padre da loro. Ma la paternità per un consacrato è trasversale, da zero a 90 anni, perché non si esercita con la corporeità ma con la castità: accoglienza di tutti senza stringere nessuno. La castità non si riduce ad un silenzio dei genitali, è una scelta e un dono di Dio».

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«Questi nove mesi di diaconato – racconta don Nicola – sono stati anche un tempo di mistagogia, di illuminazione. Quando sono stato ordinato diacono, il 3 gennaio scorso, ero felicissimo ma non mi rendevo conto del grande dono che mi era stato fatto. Il tempo successivo è stato di apprendimento, di consapevolezza. Anche portare il colletto non è solo un segno ma una presenza».

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All'intervista non porta il colletto. «Solo perché ho lavato tutte le camicie» tiene a precisare. E aggiunge: «Non bisogna mai nascondersi, e penso che la visibilità di un colletto serva, non per onore ma per distinguersi».

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Che comunità ha trovato a Modugno?

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«Bella. La Chiesa Madre ha una lunga tradizione di grandi preti ed anche di grandi laici. Ora il centro antico è abitato da molti extracomunitari quindi il senso di comunità si è un po’ perso, ma sono belle persone di grande fede e molto vicine alla parrocchia. Mi trattano come un principino».

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Come si sta preparando all’ordinazione?

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«Con un grande mal di stomaco per il nervosismo».

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È pronto?

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«Ho paura di due cose nel mio prossimo ministero. Sposare innanzitutto, perché mi rendo conto che oggi la famiglia è più vulnerabile, e sento la responsabilità di dover accompagnare le coppie, che non si ferma al sacramento ma comprende il pre e il post. Sono preoccupato di questo e delle confessioni, perché avrò la responsabilità di mantenere in mano la coscienza delle persone. Matrimoni ne ho già celebrati, ma per le confessioni quello che ho imparato nel corso alla Penitenzieria apostolica sono le norme. Però la pastorale è tutt’altro: è vicinanza alla gente, è guardare i problemi, pregare per le persone. Sarà molto impegnativo. Voglio essere d’aiuto, perché sostanzialmente il prete deve fare questo».

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La cerimonia di sabato come sarà?

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«Avrà luogo nel santuario dei Santi Medici. È una liturgia molto ricca di segni e di simboli. C’è la chiamata da parte del vescovo, c’è l’impegno – la frase "sì lo voglio" ripetuta per sei volte – poi la litania dei santi quindi la prostrazione a terra – segno di grande umiltà nei confronti del mistero di Dio e della vocazione stessa – e poi ci sono i riti esplicativi: la vestizione degli abiti sacerdotali (la casula l’ho disegnata io) e l’unzione dei palmi delle mani, e infine la consegna del pane e del vino. Poi la celebrazione prosegue more solito».

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Ha cominciato già da piccolo a leggere la Bibbia?

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«Dopo la confessione don Ciccio ci regalò il Vangelo e presi l’abitudine di leggerlo la sera».

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Che immagine si era fatto di Gesù?

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«Una persona anticonformista, in mezzo alla gente e per la gente. Un rivoluzionario che contrastava il conformismo bigotto e la religione del tempo, pagandone il prezzo».

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Qual è stata la rinuncia più difficile finora?

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«Dire ciao a Bitonto dal 27 settembre dell’anno scorso, perché sono molto legato alla mia città e alle mie amicizie».

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Chi è il suo più grande amico?

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«Non ne ho uno in particolare ma tanti amici, anche fuori Bitonto. Ancora mi vedo con i miei compagni di scuola».

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Ha avuto un insegnante di riferimento?

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«Le maestre delle elementari – Marianna Carrara, Cecilia Fornelli, Anita Balacco – sono i miei idoli. Mi hanno insegnato a scrivere e soprattutto a leggere».

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Legge molto?

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«Sì, ho il mio studio personale con la mia biblioteca. L’ho disegnata io e l’ho fatta fare su misura. Avevo bisogno di uno spazio tutto mio. Chi non fa figli fa fogli…».

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Ha uno scrittore preferito?

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«Ultimamente sto leggendo molto Gramellini. Mentre tra gli autori religiosi preferisco Carlo Maria Martini, don Tonino Bello, Enzo Bianchi, gli autori del nostro tempo che fanno bene all’anima e anche alla mente».

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Non ha mai rimpianto quella storia d’amore da ragazzino?

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«Quando vedo i bambini piccoli mi viene un grande senso di paternità».

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Ma non le pesa dover rinunciare alla presenza di una donna al suo fianco?

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«No, la solitudine mi spaventa ma non sento il bisogno di una donna accanto. Il senso di paternità invece non mi è mai mancato e non mi manca, e spero che non mi mancherà mai».

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Poi la conversazione torna sui binari della fede e della religione. Don Nicola confessa un particolare affetto per papa Benedetto, pontefice al tempo del suo seminario. «Non scorderò mai la famosa lettera che scrisse ai seminaristi, per incoraggiarli. È stato un papa umile, anche se contestato a destra e sinistra. Il gesto di rinuncia che ha fatto è stato un atto di grande coraggio e responsabilità, non compreso neanche da me all’inizio. Devo imparare da quel papa».

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E di papa Francesco cosa le piace?

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«La spontaneità, forse fin troppa… e poi il fatto che voglia risanare la Chiesa».

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Lo crede possibile?

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«Sì, ma non nell’immediato. Qualcosa è già cambiato, perché la realtà di oggi richiede la capacità della Chiesa di accoglienza, soprattutto nei confronti delle persone e delle famiglie ferite».

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Ricorda la prima preghiera che ha imparato?

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«Il Padre nostro. La preghiera più semplice e più bella. Ma il mio motto è "ubi obedientia ibi lumen et pax": dove c’è obbedienza c'è luce e pace. Non si sbaglia mai».

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Come vede i suoi coetanei?

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«Affamati di senso. Ci sono però bellissimi esempi di impegno sociale e affettivo. Tante volte i giovani di oggi non riescono a centrare l’obiettivo, anche perché non hanno guide. Nella mia parrocchia ad esempio i giovani sono bravi ma si perdono un po’. Bisogna donarsi a loro, anche con i mezzi di ultima generazione, con un messaggio. Persino il papa è social. Basta adoperare i nuovi mezzi di comunicazione in modo non distorto, sapiente».

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E i suoi coetanei col colletto?

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«Oggi è più difficile fare i sacerdoti. Anche l’età media dei preti è indicativa. Io sono uno dei pochi sotto i trent’anni. Si entra in seminario sempre più tardi».

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C’è un difetto che si riconosce?

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«Sono un po’ permaloso, e anche impaziente».

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Fra pochi giorni la sua vita cambierà per sempre. Fra trent’anni come si vede?

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«Spero come oggi. Vorrei conservare questo stato d'innamoramento».

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È felice?

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«Ora sì. Sono felice e voglio che si veda, perché bisogna condividere e testimoniare le cose belle».

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mercoledì 7 Settembre 2016

(modifica il 29 Giugno 2022, 1:26)

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FRANCO SANTORUVO
FRANCO SANTORUVO
7 anni fa

Un commovente ABBRACCIO a don NICOLA.

Nicola Pice
Nicola Pice
7 anni fa

Bella intervista a Nicola prossimo sacerdote di Cristo dotato di una profonda umanità e di una schiettezza e immediatezza di sentire che daranno frutti copiosi e luce d’immenso

Antonio Tulosai
Antonio Tulosai
7 anni fa

Un grandissimo in bocca al lupo ad un amico immenso. Un abbraccio Don Nicola..

Antonio Schiraldi
Antonio Schiraldi
7 anni fa

Ben vengano queste vocazioni
in bocca al lupo Don Nicola

Sergio Agostinacchio
Sergio Agostinacchio
7 anni fa

Ho avuto modo di conoscerti e averti a cena ,nel tuo gruppo di amici c’è mia figlia, Sei una persona spontanea e sincera e ho potuto constatare l’ammirazione e considerazione che hanno i tuoi amici, ti considerano un punto di riferimento e hai una buona influenza su di loro.Pregi di cui benificeranno quanti incroceranno il tuo cammino. Auguri, sarai un “faro” per tanti

Carmela Lovascio
Carmela Lovascio
7 anni fa

Auguri caro Nicola …..sono sicura che farai del tuo meglio per donarti agli altri più di quanto tu non riesca a immaginare ……grazie alla tua spontaneità e schiettezza d’animo,riuscirai a dare l’amore del Cuore di Gesù così come ti è stato donato sin dal momento stesso della tua chiamata sacerdotale.

Carmela Minenna
Carmela Minenna
7 anni fa

Nicola ha voluto vivere il suo cammino di fede nella pienezza di questa scelta che, oggi, lo porta al traguardo del sacerdozio. E lo fa con la responsabilità, il coraggio e la lucidità che qualsiasi scelta richiede. La sua esperienza è un dono per sé, per i suoi cari e per la sua città che, si spera, possa fruire, in breve, dei frutti fecondi del suo sacerdozio.
Grazie, don Nicola, e buon cammino!
Esto paratus!