L'intervista

Universitaria suicida alla IULM, la psicologa: «Segno di un malessere diffuso»

Marco Lovero
Depressione
Depressione
Santa Maggio, professionista bitontina, commenta il caso di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica e analizza cause e possibile prevenzione
1 commento 283

È mercoledì primo febbraio quando nel bagno dell’Università IULM di Milano viene ritrovato il corpo esanime di una studentessa di soli diciannove anni. Non ci sono dubbi: si tratta di suicidio. Ha lasciato un messaggio in cui chiede scusa alla famiglia per i fallimenti personali e nello studio, per un esame al quale non si è presentata.

La risposta della IULM non tarda: sospensioni delle lezioni per un giorno e invito ad osservare tre minuti di silenzio per le commissioni impegnate negli esami. Silenzio. Lo stesso con cui le istituzioni universitarie rispondono alle richieste d’aiuto che arrivano dagli studenti. E la notizia rischia di scivolare nell’oblio, nonostante l’attenzione mediatica delle prime ore. Ciò che rimane è una vita tranciata, segno di un malessere strisciante e taciuto, quello di tanti studenti che vivono l’insuccesso universitario come un fallimento. Secondo l’Istat, infatti, il 5% dei suicidi in Italia riguarda giovani sotto i 24 anni, di cui molti universitari.

Abbiamo voluto approfondire con la psicologa bitontina Santa Maggio le condizioni psicologiche ed emotive degli studenti, il rapporto con la famiglia e gli amici e l’importanza della prevenzione.

 

Quanta pressione e quanto carico emotivo c’è per uno studente universitario?

«Uno studente universitario passa, il più delle volte, dall’andare a scuola con un senso di obbligo, allo scegliere liberamente un percorso che definirà in modo decisivo il suo futuro; si tratta di una fase delicata in cui spesso si avverte il pericolo di scelte sbagliate e si sente il peso delle aspettative della famiglia, della società, ma soprattutto delle proprie. Mi capita spesso di incontrare giovani universitari stressati e sfiancati dalla lotta con le proprie aspettative guidate da modelli di perfezione idealizzati e spesso inconsistenti. Il carico emotivo che uno studente si porta dietro è enorme, perché non è legato solo alle difficoltà concrete e oggettive insiste nello studiare e nell’affrontare l’ansia degli esami, ma soprattutto al peso dei giudizi di una società che sembra esigere la perfezione. Sembra che manchi la capacità di tollerare la frustrazione: bisogna essere a tutti i costi belli, intelligenti, non bisogna mai fallire, non bisogna mostrare le proprie debolezze, bisogna farcela da soli, chi chiede aiuto è debole, chi piange ancora di più, bisogna avere un ottimo rendimento accademico, bisogna studiare poco e rendere il massimo, è necessario mostrarsi sempre sorridenti anche quando c’è qualcosa che non va. Da qui è facilmente comprensibile come può essere ovvio per uno studente vivere in un costante stato di tensione e ansia che inevitabilmente, quando è prolungata, può sfociare in depressione».

 

Cosa può spingere una persona così giovane al suicidio? C’è un modo per fare prevenzione?

«Per molti studenti universitari è proprio la depressione a spingere al suicidio. La depressione non solo induce profonda tristezza, solitudine, sentimenti di inadeguatezza e rabbia, vissuti di colpa o perdita, incapacità di trarre piacere dalla vita quotidiana, appiattimento delle emozioni, abuso di sostanze, isolamento sociale, uso massiccio della tecnologia, disordini alimentari, disturbi fisici da somatizzazione, ma spesso, purtroppo, è associata a ideazione suicidaria. Per questo è importante cogliere i primi segnali di disagio che lo studente manifesta e cercare di favorire un dialogo rispettoso e costruttivo volto a esplicitare i pensieri automatici negativi quali ad esempio: “Non valgo niente!”, “Gli altri non mi capiscono!”, “Rovinerò tutto!”, “Non devo sbagliare, perché se fallisco in qualcosa vuol dire che sono un fallito!” …eccetera. Più questi pensieri diventano presenti e insistenti, più la persona si sente triste ed è portata a fare meno. In questo modo si rinforza l’idea di sé come incapace, creando un circolo vizioso. A mio avviso per fare prevenzione è necessario che si formi una rete consistente e coesa tra famiglie, amici e agenzie formative (scuola/università) che ruotano attorno ai ragazzi. Appena si colgono i primi segnali di disagio è utile mobilitare chiunque possa essere di aiuto a risolvere la problematica. Le agenzie formative dovrebbero attivare sportelli psicologici in grado di accogliere e, se è il caso, indirizzare a specialisti del benessere psicofisico».

 

In questi casi ci si chiede perché non si è cercato l’aiuto di famiglia e amici. Che ruolo possono avere?

«Spesso non si cerca l’aiuto della famiglia o degli amici probabilmente per una tendenza narcisistica: si fugge da un senso di inadeguatezza profondo e profondamente denegato. Ma non si chiede aiuto anche per tanti diversi motivi: per orgoglio (si preferisce avere tutto per sé il merito di essere riusciti a risolvere un problema senza condividerlo con nessuno); per meccanismi di difesa come la negazione (si nega a se stessi di avere un problema perché si ritiene sia difficile parlarne e ancor di più trovare una soluzione; quindi, meglio far finta che il problema non ci sia); per vergogna (non si vuole che altri sappiano che abbiamo un problema da risolvere. Spesso si pensa che chiedere aiuto sia un segno di debolezza); per paura che l’aiuto chiesto venga negato (dietro questo timore si nasconde la paura del rifiuto, di sperimentare la sensazione di non essere abbastanza importanti da far sì che qualcuno ci dedichi il suo tempo).

In realtà chiedere aiuto non è un atto di debolezza, ma un vero atto di coraggio, perché per farlo bisogna avere un minimo di fiducia in se stessi e negli altri, non farsi influenzare dal giudizio e coltivare la speranza di riuscire a dirigere la propria vita nella giusta direzione. Chi arriva da me in studio per la prima volta questo lo sa bene, ma sa anche che chiedendo aiuto ha già abbattuto il primo muro e ha già salito il primo gradino di una scala che lo porterà sempre più verso la realizzazione di sé e verso il benessere».

 

Spesso si ignora l’importanza del benessere emotivo e psicologico. È un fatto culturale? Come si può superare questo pregiudizio e perché è importante consultare un esperto?

«Il problema culturale purtroppo rimane, anche se negli ultimi anni noto minore resistenze nel rivolgersi dallo psicologo, probabilmente la pandemia da un lato ha reso lecito manifestare la sofferenza, dall’altro ha acuito situazioni problematiche latenti.  Il pregiudizio si può superare solo con la conoscenza, si ha paura di ciò che non si conosce. Quando le persone si affacciano dallo psicologo ed entrano in una relazione positiva si rendono subito conto di quanto faccia bene. Ultimamente anche molti influencer parlano serenamente e positivamente dei loro percorsi di psicoterapia, perfino la canzone di Mr Rein presentata quest’anno a San Remo racconta dell’importanza di chiedere aiuto, perché nessuno può salvarsi da solo, ma i “supereroi” sono quelli che hanno il coraggio di dimostrate le proprie debolezze senza vergognarsene».

 

Il bonus psicologo può essere una misura per aiutare le persone in condizione di fragilità psicologica? Quali effetti potrebbe avere, se potenziato?

«Il bonus psicologo è nato con l’obiettivo non solo di dare un supporto economico a coloro che non possono permettersi di accedere a servizi di psicologia privati, ma anche di sensibilizzare il tema del supporto psicologico incoraggiando le persone a prendersi cura di sé e affrontare i tabù nei confronti della psicoterapia. Per questo motivo il bonus non è solo un aiuto economico, ma anche culturale. Ovviamente siamo ancora all’inizio di un intervento che ha tutta l’aria della sperimentazione e che sicuramente, se potenziato, potrà davvero permettere a tante persone, di usufruire di questa possibilità per ridurre il disagio personale e interpersonale. Abbiamo bisogno tutti di sapere che c’è un modo per ridurre la sofferenza psichica derivante dalla solitudine, soprattutto in questo periodo storico ricco di eventi negativi che inevitabilmente stanno condizionando la psiche umana».

 

 

martedì 14 Febbraio 2023

Notifiche
Notifica di
guest
1 Commento
Vecchi
Nuovi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
la carretta di una volta
la carretta di una volta
1 anno fa

IL PROBLEMA è UNO SOLO LEGATO ALLE GENERAZIONI FRAGILI: QUESTI RAGAZZI HANNO BISOGNO DI RITORNARE A GIOCARE PER STRADA, A CADERE SULL’ASFALTO, SUL TERRICCIO , SBUCCIARSI GINOCCHIA E GOMITI E RITORNANDO A CASA VEDERE VOLARE LA CIABATTA DELLA MADRE. TROPPA OVATTA RENDE LA PELLE MOLTO DELICATA E TROPPO DOLCE PROVOCA IL DIABETE. LA MIA è UNA METAFORA. L’UNIVERSITà è LA FUCINA DEI FUTURI DIRIGENTI, SE NON SOPPORTI IL PESO: CAMBIA E NON CANCELLARTI.