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Sport da combattimento sotto accusa: “La violenza non è in palestra ma fuori”

Mariella Vitucci
Violenza
Maestri ed esperti, interpellati da BitontoLive, sottolineano il valore educativo delle regole. Prima fra tutte: rispettare l'avversario
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“Le palestre dove si insegna la violenza andrebbero chiuse”. È solo uno dei messaggi giunti in redazione (molti dei quali impubblicabili) contro gli sport da combattimento, a commento dell’omicidio che una settimana fa ha sconvolto la nostra comunità, catapultando il nome di Bitonto nei titoli di cronaca nera.

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Le telecamere di videosorveglianza della stazione di servizio teatro dell’aggressione mortale, e le motivazioni del provvedimento di fermo del presunto assassino, il 20enne bitontino Fabio Giampalmo, raccontano l’orribile sequenza di pugni sferrati in pieno volto contro l’inerme Paolo Caprio.

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Reazioni a caldo, riflessioni a freddo e analisi sociologiche puntano tutte nella stessa direzione: trovare un colpevole. Sul banco degli imputati sono finiti gli sport da combattimento, perché l’accusa di omicidio volontario a carico di Giampalmo è aggravata “dall’uso di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa”. Dunque, il facile 2+2: se l’aggressore non fosse stato esperto di boxe e arti marziali, Caprio non sarebbe morto. Senza l’ombra di un se o di un ma, le palestre dove s’insegnano questi sport sono state messe all’indice come “luoghi di violenza”.

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Era già successo esattamente un anno fa, a seguito dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, pestato a morte da “fanatici seguaci dell’MMA”. Le Mixed Martial Arts divennero allora il capro espiatorio della furia omicida: tutti i media riportarono le foto in posa in palestra dei fratelli arrestati. E così le arti marziali miste diventarono la vera “colpa” di questi soggetti con un lungo curriculum criminale.

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Anche per Giampalmo è stato così: i precedenti penali per droga, ricettazione e furto, a soli 20 anni, sono passati in secondo piano.      

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Ma lo sport non è disciplina, rispetto dell’altro, autocontrollo? È questa la domanda che abbiamo posto ad esperti di sport da combattimento e arti marziali che operano a Bitonto. Le risposte che abbiamo raccolto concordano: “Sul tatami, così come sul ring, la prima regola è rispettare l’avversario”.

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Ma fuori dalle palestre, per strada e anche in casa, la violenza dilaga senza il “filtro” di maestri e istruttori. È il meccanismo che anima molti videogames in cui si fa a gara a colpire ed eliminare, senza pietà e senza esclusione di colpi. Giochi a cui i genitori non pongono veti, perché tanto ci giocano tutti. E sono gli stessi genitori che, affacciandosi in una palestra di arti marziali, non si vergognano di precisare la motivazione della loro scelta: “Mio figlio deve imparare a difendersi”.

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Ma è proprio qui, nella linea sottile che segna il confine fra difesa e offesa, che si gioca la partita fra aggressione e reazione, tra la vita e la morte.

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Lo dicono i fatti di cronaca: ragazzi di “buona famiglia”, alcuni mai entrati in palestra, che si scatenano in discoteca, giustificati dall’alcol. Insospettabili trasformati in bulli, che agiscono soprattutto in branco. Una violenza che cova sotto la cenere dell’apparenza, sotto la vernice dell’educazione.

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E allora, sono davvero gli sport da combattimento e le palestre il problema?

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“Il no rules è una bugia. Nel karate ad esempio – chiarisce un esperto a BitontoLive – è proibito anche solo sfiorare il volto dell’avversario. Non si colpisce per abbattere. Quello che insegniamo è esattamente  il contrario della violenza indiscriminata, insegniamo a limitare gli eccessi e ad aiutare i più deboli, i meno esperti, i più piccoli. La mia prima domanda ad un aspirante allievo è: perché vuoi fare karate? Se è per offesa, allora puoi girarti e andartene. Insegno fairplay, rispetto, aiuto. Sul tatami i miei allievi si devono comportare secondo le regole. Non posso essere accusato per  come si comportano fuori, perché altrimenti anche la scuola e la famiglia dovrebbero essere accusati”.

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E a proposito dell’interesse crescente, soprattutto fra i giovanissimi, per l’MMA, un altro esperto precisa a BitontoLive: “Non è vero che tutto è ammesso. Nell’MMA dilettantistico si può colpire al volto solo con colpi controllati e protezioni, e sono escluse ginocchiate e gomitate. Questo è lo sport del momento, perché è diventato molto commerciale e pubblicizzato. L’idea che passa è che sia uno sport dove si colpisce con cattiveria, senza regole. Ma chi cerca il sangue nei combattimenti di MMA trasmessi in tv, spesso rimane deluso perché la tattica prevale sull’aggressività. Poi ci sono i combattimenti clandestini, e lì è tutta un’altra storia: niente limiti e violenza cieca. Ma su Internet si trova di tutto, ci sono anche video tutorial che insegnano a colpire nei punti vitali”. Eppure non c’è censura contro questa sconfinata palestra virtuale di violenza, dove basta un clic per entrare, direttamente dalla cameretta di casa. 

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“Negli sport da combattimento – ribadisce un maestro – gli allievi vengono educati a dirottare le energie negative accumulate nella vita quotidiana all’interno della palestra, in un perimetro protetto dove scaricare paure e frustrazioni. Combattere diventa addirittura terapeutico”.

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“Chi si allena in palestra, sotto la guida esperta di un maestro – aggiunge – non diventa un picchiatore. Noi non addestriamo alla violenza ma insegniamo a dominarla”.

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Le tossine della violenza non sono in palestra ma fuori, nell’intolleranza e nella maleducazione dilaganti, nelle liti per un parcheggio, negli insulti fuori controllo che avvelenano i social, in quel commento  ricorrente contro l’aggressore in carcere: “Buttate la chiave. Uno di meno”.

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domenica 12 Settembre 2021

(modifica il 28 Giugno 2022, 12:46)

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Franco
Franco
2 anni fa

Resta comunque il fatto che nessun buon istruttore può impedire che poi un cattivo allievo usi poi le tecniche per fare male a qualcuno. Certo ora loro lo negano ma purtroppo i fatti danno loro torto.

Maria P.
Maria P.
2 anni fa

Ma dove sta scritto che bisogna scaricare le “frustrazioni” con la lotta? Ci sono modi diverse per controllare le proprie esuberante. I nostri nonni (i genitori hanno abdicato da tempo) ci insegnavano l'educazione, le buone maniere, anche accompagnando i consigli con qualche utile scappellotto. Ora dobbiamo…..scaricare.

Maria P.
Maria P.
2 anni fa

Vecchia storia, in questi casi drammatici ognuno scarica le responsabilità su altro o su altri. Pensassero a educare meglio i loro allievi, se ne sono capaci.