Cultura

La storia attraverso gli abiti, un pezzo di Bitonto in mostra a Gravina

Mariella Vitucci
Lucia Schiavone
Sono alcuni dei "gioielli" del guardaroba antico della famiglia Donadio-Traversa-Buquicchio. Ce li racconta Lucia Schiavone, artista e discendente della nobile casata
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C’è un pezzo di Bitonto nella mostra Glamour, costume e società in Puglia dall’Ottocento al Novecento. Storia del costume e della moda nelle terre di Puglia”, allestita a Gravina dell’ex monastero di Santa Sofia e aperta al pubblico fino al 17 ottobre. Sono alcuni degli abiti e accessori appartenuti alla famiglia Donadio-Traversa-Buquicchio, donati alla fondazione Santomasi Pomarici di Gravina da Pasqualina Donadio, discendente dell’antica casata bitontina. Figlia minore del medico Giuseppe Donadio (1891-1965) e di Luisa Traversa (1892-1986), Pasqualina è stata educata al bello e, a seguito della morte di sua madre, ha raccolto i cimeli del guardaroba di famiglia, quasi tutti femminili ad eccezione di un gilet da uomo. Sessantasette pezzi in tutto: un tesoretto che la fondazione gravinese ha voluto acquisire al suo patrimonio di abiti storici, manufatti e accessori di illustri famiglie pugliesi. L’obiettivo è allestire un Museo della storia del costume in Puglia, con teche e spazi idonei alla conservazione di questi speciali reperti. C’è anche il progetto di un laboratorio di restauro.

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Due degli abiti della famiglia bitontina sono esposti a Gravina: si tratta di modelli da festa, che raccontano di un’eleganza e di una mondanità d’altri tempi, quando Bitonto faceva scuola in fatto di glamour, tanto da richiamare l’attenzione dei cronisti di una rivista di moda francese con redazione italiana a Napoli, venuti nella nostra città per descrivere la magnificenza degli outfit da cerimonia indossati dalle dame dell’alta società.

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Un tuffo nel passato, la storia e il costume raccontati attraverso la cura del vestiario: abiti, guanti, scarpette, corsetti e cappelli che sono lo specchio di un tempo ormai lontano, quando ogni pezzo era sartoriale e unico. L’antitesi del pronto moda usa e getta di oggi. Abiti dai tessuti pregiati e dai dettagli originali, “vestiti da principesse”, per dirla con Lucia Schiavone. È lei, artista restauratrice figlia di Pasqualina Donadio, ad aprirci i bauli di casa con i suoi racconti di vecchie soffitte e di pomeriggi passati con il fratello Nicola a giocare con il cilindro di raso nero del nonno materno. “Era a scatto – ricorda Lucia – e si richiudeva per essere portato comodamente sottobraccio. Alla fine lo rompemmo, con enorme dispiacere di mia madre e delle sue sorelle. Ci restammo malissimo e ci fu proibito di giocare con altri cimeli”.

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Gli abiti in mostra a Gravina sono quello con le stelline e le maniche a sbuffo appartenuto a Maddalena Buquicchio, moglie di Giovanbattista Traversa bisnonno di Lucia, datato 1892 e firmato Pizzofalcone Napoli; e quello di nozze appartenuto a Giuseppina Rosa Mastromatteo, moglie di Francesco Buquicchio, fratello delle bisnonne di Lucia, tra loro sorelle. “Non aveva avuto figli – racconta – e, cagionevole di salute, fu curato da mio nonno Giuseppe, marito di nonna Luisa, che era medico. Nel 1949 quell’abito fu indossato da mia zia Maddalena Donadio, sorella di mia madre, per la festa in maschera a cui parteciparono molte nobildonne bitontine, che si tenne nel palazzo Buquicchio in via Matteotti”.

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Gli abiti antichi della famiglia Donadio-Traversa-Buquicchio hanno già riscosso grande ammirazione nella mostra allestita lo scorso anno al Castello Svevo di Bari che, inaugurata a giugno, si è protratta fino a novembre per l’ottimo riscontro di pubblico. A testimonianza dell’esposizione, il bel catalogo edito da Adda. Durante l’allestimento e la manutenzione di quella mostra, Lucia Schiavone ha conosciuto e stretto amicizia con la collega restauratrice Maria Stragapede, artista ruvese con bottega a Firenze (Tiraz Conservazione e Restauro), specializzata nel restauro di manufatti tessili con tecniche all’avanguardia come il laser.

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Dai racconti di Lucia traspare l’affetto per quei cimeli che sono ben più che seta e madreperla, testimonianza di un passato da ricordare e di una famiglia che le ha trasmesso insieme ai valori l’amore per la cultura e per l’arte, quasi impressa nel suo dna. 

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Lei si definisce una “vagabonda” cresciuta nell’arte. Aveva solo dieci anni – racconta – quando cominciò a frequentare la bottega dello scultore Matteo Germano a San Severo. “Fino ai miei 18 anni trascorrevo i pomeriggi in bottega. Germano era stato allievo di mio nonno paterno, Nicola Schiavone. Lui era di Torremaggiore ma si era formato artisticamente fra Torino e Napoli. Era un apprezzato scultore e progettista per l’arte cimiteriale. Devo la mia formazione artistica all’eredità paterna, ma anche nella famiglia di mia madre, i Traversa, c’era un diffuso amore per l’arte. Mia nonna materna, Luisa Traversa, amava dipingere, e tra i suoi antenati c’era un pittore famoso, Nicola Traversa, che dipingeva proprio nella casa di famiglia a Santo Spirito dove io vivo e lavoro”. Villa Luisa, ribattezzata “Clinica della scultura”, è la casa-bottega di Lucia, il suo porto sicuro dopo quarant’anni con la valigia sempre pronta. L’infanzia tra Torremaggiore e San Severo, l’istituto d’arte a Foggia, la laurea in Beni culturali a Lecce, un periodo in Francia alla Scuola dipartimentale di architettura e scultura di pietra lavica di Volvìc, l’esperienza in diagnostica dei beni culturali tra Università di Bologna e CNR di Faenza, il periodo campano prima all’istituto Maria Teresa Caiazzo di Salerno per imparare il restauro delle sculture lignee policrome e dei dipinti murali, poi al Museo archeologico nazionale di Napoli.

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Quindi, nel 2005, il ritorno in Puglia e la scelta di andare a vivere nella villa di famiglia a Santo Spirito, intitolata all’amata nonna Luisa. E qui comincia un altro capitolo della vita di Lucia Schiavone, tutto da raccontare…

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mercoledì 11 Agosto 2021

(modifica il 28 Giugno 2022, 12:57)

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