L’intervista

Don Gaetano Coviello: «Pazienza e forza derivano dalla fede»

Marco Lovero
Don Gaetano Coviello
Don Gaetano Coviello
Il neo parroco-rettore della Basilica dei Santi Medici racconta a BitontoLive i suoi 42 anni di sacerdozio e la serenità con cui affronta il nuovo ruolo
2 commenti 217
Don Gaetano Coviello
Don Gaetano Coviello

Sacerdote da quarantadue anni, da qualche settimana è il nuovo parroco-rettore della Basilica dei Santi Medici, un ruolo colmo di aspettative e impegno. Don Gaetano Coviello si racconta a BitontoLive ripercorrendo le sue esperienze da sacerdote, strettamente intrecciate con l’evoluzione e i mutamenti della Chiesa, focalizzandosi sulla fede e sul rapporto con Dio e i fedeli.

 

Da dove nasce la sua vocazione? Cosa ha provato durante le sue prime esperienze da sacerdote?

«Nasce da giovane nella parrocchia di San Leucio, dov’ero catechista e questo mi ha entusiasmato. Da lì sono arrivato ad una dimensione interiore segnata dalla ricerca delle motivazioni del mio operato, che hanno portato ad un senso di crescita. Questo è diventato ricerca della vocazione, ho voluto rispondere sì a una chiamata che veniva al di fuori di me, da Dio. E proprio a San Leucio ho fatto le mie prime esperienze di sacerdote, esperienze molto belle con i giovani, gli ammalati, gli adulti e gli anziani».

 

Durante il suo sacerdozio come ha vissuto i numerosi cambiamenti della Chiesa? «Sono prete da quarantadue anni, e durante il mio sacerdozio sono successe tante cose, belle e problematiche. Per esempio, la riscoperta dell’annuncio del Vangelo: i sacramenti sono utili e danno la vita se sono espressione di un dono di Dio, un dono riconosciuto, apprezzato, desiderato a cui siamo chiamati a collaborare. Sono stati gli anni in cui il catechismo è stato strutturato per la vita cristiana, il che la dice lunga. Sicuramente è stato molto importante l’accento sulla comunità, diceva Paolo VI che “un popolo in comunione annuncia il Vangelo, non un navigatore solitario” riprendendo il lavoro del Concilio Vaticano II. Per cui bisogna sforzarsi di avere una comunione più attenta al Vangelo e alle esigenze delle persone, a partire dai più deboli. Altro cambiamento è il “secondo annuncio”: è stato fatto un primo annuncio con i sacramenti di Battesimo, prima Comunione e Cresima, ma poi la gente si è persa, ha smesso di vedere il Vangelo come un annuncio. Sull’esigenza di ripresentarlo nasce la Chiesa di oggi, siglata da papa Francesco nella lettera “Evangelii Gaudium” dove si afferma l’importanza di annunciare nuovamente il “kèrigma”, il nodo, l’avvenimento centrale da cui scaturisce tutto che la gente ha dimenticato: Cristo muore, viene sepolto e risorge».

 

Lei è sacerdote dal 1981. In tanti anni come si è rapportato con i fedeli? Com’è riuscito ad entrare nel loro cuore?

«Mi sono sempre rapportato con molta serenità, prestando attenzione alla loro umanità, l’essere credente nasce proprio da qui. Lascio a loro decidere se sono entrato nel loro cuore».

 

La guida della comunità dei Santi Medici comporta un’eredità pesante… Quanto impegno e pressione c’è dietro questo ruolo?

«Questa non è una parrocchia, è un mondo: c’è la parrocchia, il santuario, la fondazione e altri gruppi strettamente collegati a questa realtà. Certo, l’impegno e la pressione c’è ma non la so ancora descrivere, vedremo nei mesi successivi. Arrivo qui molto tranquillo, non vengo a rifondare e correggere sbagli perché don Ciccio Savino e don Vito Piccinonna hanno fatto benissimo, hanno fondato, conservato e sviluppato. A me tocca conservare e continuare a sviluppare queste realtà. Sono sereno, non posso che avvalermi con gioia dei numerosi collaboratori, dipendenti e volontari».

 

Gli ultimi anni della Chiesa sono stati abbastanza travagliati con un calo dei sacerdoti e dei credenti, soprattutto fra i più giovani, mentre aumentano gli sbattezzi e gli scandali. Per lei a cosa è dovuto?

«Se ne parla da molti anni, papa Benedetto XVI aveva già annunciato che la Chiesa sarebbe diventata minoranza ma ha anche sostenuto che fosse una purificazione che Dio ci dà per una nuova crescita, questa è la vera lettura di qualsiasi travaglio che incontriamo. Naturalmente occorre che tutti gli operatori pastorali, a cominciare dai preti, si riciclino secondo le esigenze dell’uomo seguendo un principio che ha ricordato anche papa Francesco: fare l’anno della misericordia. Noi viviamo della misericordia di Dio e non possiamo che rapportarci agli altri e organizzare la vita della Chiesa secondo questo principio con lo sguardo benevolo, misericordioso di Dio. Questo non significa approvare tutto ma vuol dire non puntare il dito verso le persone, non essere inclini ai facili giudizi ma ascoltare, coinvolgerci, appassionare e seguire vie di rinnovamento personali e comunitarie».

 

Il suo ruolo richiede pazienza, forza ma soprattutto fede. Dove le trova?

«La risposta è nella domanda: pazienza e forza derivano dalla fede, intesa come rapporto personale con Cristo che si nutre della parola di Dio, dei sacramenti e dell’incontro della gente, di cui ci parla anche Gesù. Questo è fondamentale, la gente è il luogo in cui Dio parla ai preti e agli operatori pastorali, diventa luogo da cui attingere la fede. Prestare attenzione, orecchio, cuore a questi diversificati incontri con Gesù è il segreto del cammino di fede di ogni credente».

mercoledì 1 Febbraio 2023

Notifiche
Notifica di
guest
2 Commenti
Vecchi
Nuovi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Franco
Franco
1 anno fa

Non ho capito cosa vuol dire che i “preti devono riciclarsi per le esigenze degli uomini”. Forse che la Chiesa deve diventare una Onlus assistenziale?

Stefano
Stefano
1 anno fa

Quindi la fede viene ridotta a un semplice “rapporto personale con Dio” mentre la pastorale si limita all’ascolto ma “senza giudizi”.