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Arriva il Giro d’Italia a Bitonto e noi ricordiamo Marco Pantani

Mario Sicolo
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Ci sono cose che non si possono vedere.
rnCi sono cose che non si possono capire.
rnUna piccola bandana avvolta intorno al cuore piagato, per esempio.
rn
rnOggi, 18 maggio 2010, arriva il Giro d’Italia a Bitonto.
rnLa città degli ulivi sarà addirittura sede d’arrivo di tappa.
rn
rnLa giornata si rivelerà un turbinio di impegni e servizi, di volate e pedivelle, di sudore e fatica.
rnTutto si colorerà gioiosamente di rosa.
rnCi sarà chi vincerà e chi perderà, chi sorriderà e chi si rattristerà.
rnNon avremo un minuto libero. Sarà impossibile fermarsi.
rn
rnE, invece, noi sappiamo che ci faremo una sola domanda. Sempre. In ogni istante.
rnDove sarà, adesso, Marco Pantani?
rn
rnCerti pomeriggi di lontanante dolcezza, il cielo sembra un mare di segrete limpidezze e le nuvole montagne di zucchero.
rnMontagne. Se vedrete guizzare leggeri scintillii d’una pelata o di catene e raggi fra quelle coltri candidissime, saprete chi sarà, lassù, quel camoscio che danza qui e là, in piedi sui pedali e mani basse sul manubrio.
rn
rnLui, il Pirata – o Pantadattilo, come lo ribattezzò il grande Gianni Mura, conquistato dal fascino arcano di questo scalatore che andava più forte di tutti solo per alleviare l’agonia – donava a chi lo amava velieri fatti di carta e sogni che solcavano inaffondabili oceani infiniti.
rn
rnCon lui trasvolavano distese interminate giovani e vecchi (due su tutti: Alfredo Martini e Luciano Pezzi, maestri autentici oltre che ex corridori), donne e bambini.
rnE non fatevi ingannare dalla vile dannazione che segue la morte di un uomo che tanti – anche e soprattutto per coprire i propri errori – hanno bollato come un misero drogato.
rn
rnMacchè. Marco non era stato neppure l’Achille invincibile, amato dagli dei dell’anticavallo.
rnAnzi. La Dea bendata, diabolica, lo aveva colpito duramente per ben due volte.
rnGli aveva lacerato il corpo, ma non l’anima, che risorgeva ogni volta che si levava maestosa un’altura sotto i suoi tubolari.
rn
rnSe c’era da fare un’impresa, lui c’era.
rnNon si sottraeva mai alle sue responsabilità. Non tradiva mai nessuno, tranne quando fu costretto a farlo a causa del tradimento altrui e, così, decise di distruggersi per il disdoro.
rnEra, insomma, un italiano atipico, per questo lo adoravano tutti gli uomini comuni e lo odiavano quelli che contavano. Compresi tanti giornalisti, che si issarono sul carro del vincitore dopo i capolavori al Giro e al Tour, salvo ridiscenderne immediatamente, appena a Madonna di Campiglio fu fermato per un beffardo valore dell’ematocrito. 
rn
rnLa sua storia resta un esempio emblematico del nostro essere italiani.
rn
rnStanco d’aver amato inutilmente un mondo intero ed assediato dalla solitudine più fonda, perduto com’era nell’abisso famelico del cuore deserto, si lasciò morire (o lo uccisero? Mica è stato mai verificato) in una squallida stanza d’albergo riminese il giorno di San Valentino di sei anni fa. 
rnEd immalinconisce un po’ pensare che ci siano fanciulli che non l’hanno mai visto sgranare eroicamente gli avversari disperati alla spicciolata fra un tornante e l’altro o vincere ad ali spalancate come un angelo che tornasse tra le braccia di sua madre: la montagna forse più di Tonina.
rn
rnE dire che sarebbe bastata una carezza per salvarlo.
rnAh, se avesse saputo che tanti lo hanno pianto, forse non avrebbe fatto quella fine.
rn
rnCosì, oggi, cari lettori, siamo sicuri che molti, sia pure per un attimo soltanto, ripenseranno a Marco.
rnState pur tranquilli, se non lo vedrete nel gruppo è solo perchè è nel cuore di chi ha amato davvero il ciclismo.
rnE, forse, si sono pure disamorati di questo sport antico da quando non c’è più lui…

martedì 18 Maggio 2010

(modifica il 29 Giugno 2022, 15:42)

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