Cultura

“I nove mesi dopo”: Vito Palmieri porta alla luce le ansie del post partum

Mariagrazia Lamonaca
"I nove mesi dopo"
Nel documentario del regista bitontino, le testimonianze di quattro neo mamme fra i 30 e i 40 anni
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Quando si parla di discriminazione di genere, non si parla solo di donne “usate” (e abusate), di donne escluse dai posti dirigenziali, o di donne vittime di “body shaming” (perdonateci l’esterofilia linguistica) che, ammettiamolo, è un fenomeno che colpisce prevalentemente il sesso femminile.

La discriminazione di genere ha tante sfaccettature, molte delle quali sono poste raramente all’attenzione dell’opinione pubblica. Quanti di noi hanno letto articoli che analizzano il periodo successivo al parto, che pure rappresenta un momento delicato (e fondamentale) nella vita di una donna?

Certo, spesso di sente parlare di depressione post partum, di donne discriminate sul lavoro perché neo mamme o prossime a diventarlo (nei casi estremi anche solo intenzionate ad esserlo). Ma quanti hanno posto l’attenzione sulle reali dinamiche psicologiche, e anche pratiche, che una donna che ha appena messo alla luce un figlio si trova a dover affrontare? Come spesso accade, il periodo successivo alla nascita di un figlio rimane un argomento che non si vuole affrontare, quasi un tabù, che i media, strategicamente, evitano.

Ad occuparsene recentemente, senza inutili “fisime”, è stato il regista di origine bitontina Vito Palmieri, reduce dalla vittoria di numerosi premi col suo apprezzatissimo “Il mondiale in piazza” girato a Bitonto e già proiettato a Venezia, in Spagna e in Giappone.

Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo documentario “I nove mesi dopo”, in cui il regista descrive, attraverso le testimonianze di quattro neo mamme fra i 30 e i 40 anni, i nove mesi che seguono la nascita di un figlio.

 

Quali argomenti affronta ne “I nove mesi”? Si parla della depressione post partum?

Non nello specifico, ma abbiamo affrontato un fenomeno meno conosciuto, il cosiddetto “baby blues”, ovvero quando la donna vive dei sintomi di depressione nei primi giorni dopo il parto e per al massimo due settimane. Spesso, infatti, si dà per scontato che questo sia un periodo felice della propria esistenza, ma a volte porta con sé degli sconvolgimenti psicologici che possono portare a sintomi depressivi.

 

Chi sono le donne intervistate?

Innanzitutto tengo a precisare che questo documentario è stato realizzato grazie al contributo fondamentale della pedagogista Mariagrazia Contini, professoressa ordinaria di Pedagogia all'Università di Bologna, che ringrazio di cuore. Abbiamo analizzato i casi di quattro neo mamme, prima attraverso semplici interviste e poi recandoci personalmente a casa per filmare le loro vite.

 

È stato facile “entrare” nelle loro vite?

No, affatto. Abbiamo cercato di essere il meno possibile invadenti, parlando con queste mamme nei momenti di serenità ed entrando poi nelle loro case nella maniera più sobria possibile, senza troppi sguardi e obiettivi. Ma devo dire che sono state molto collaborative e gentili. Non è facile dare voce alla propria sofferenza, soprattutto in un momento così particolare della propria vita e, spesso, si corre il rischio di essere fraintesi. Ecco perché credo sia importante portare alla conoscenza di tutti questo problema. Non si tratta di “cattive mamme”, come alcuni potrebbero pensare. Sono solo mamme che vivono un momento di cambiamento.

 

Come è stato accolto il documentario?

Attualmente viene trasmesso solo nel circuito cinematografico dell’Emilia Romagna, dove risiedo, perché qui c’è questa possibilità. Devo dire che è stato accolto molto bene, c’è stata tanta curiosità attorno a questo documentario, proprio perché affronta un argomento che potremmo definire tabù. Molte mamme mi hanno ringraziato perché si sono rispecchiate nella situazione delle signore protagoniste. È stato molto gratificante.

 

Qual è la sua opera di cui va più fiero?

Un altro documentario, dal titolo “See you in Texas”. Parla di due ragazzi, Silvia e Andrea, che sono innamorati e vivono insieme in una fattoria. Ma Silvia ha anche un'altra passione: il reining, una disciplina equestre in cui potrebbe eccellere se solo andasse sei mesi in Texas. Ne vado fiero perché in questa produzione ho trovato la chiave del mio stile. Per me la cosa importante è che lo spettatore, alla fine del film, si chieda cosa è realtà e cosa è finzione.

 

Un prossimo progetto che vuole anticiparci?

Al momento sto aspettando che si dia avvio alla distribuzione di un documentario che tratta un altro tema piuttosto delicato, quello della giustizia riparativa. L’opera si chiama, appunto, “Riparazioni”, è stato girato tra Bari, Andria, Trani e altre città pugliesi ed è vincitore del bando “Social Film Production” dell’Apulia Film Commission. Inoltre sto scrivendo un lungometraggio di finzione, che spero possa vedere presto la luce.

lunedì 9 Maggio 2022

(modifica il 4 Luglio 2022, 16:35)

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