L'intervista

Emergenza sociale e nuove povertà, De Palma: «Comune al fianco delle famiglie»

Annarita Cariello
L'assessore Gaetano De Palma
L'assessore al welfare illustra gli aiuti economici e materiali erogati dall'amministrazione comunale nei due anni di pandemia, in sinergia con le parrocchie e la Caritas Bari-Bitonto
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Lo scorso 19 febbraio sulla Gazzetta del Mezzogiorno il direttore della Caritas diocesana di Bari-Bitonto, don Vito Piccinonna, in una lunga intervista a firma di Francesca Di Tommaso raccontava la grave crisi sociale che sta interessando il nostro territorio e colpendo, in particolare, gli adolescenti e i giovani, definiti da don Vito "i nuovi poveri". I dati forniti dal direttore della Caritas mostrano una drammatica escalation di richieste da parte dei cittadini, rivolte alle 126 parrocchie del territorio, inerenti per il 50% la domanda di un posto di lavoro, per il 41% il sostegno al pagamento delle utenze domestiche e per la restante parte un aiuto economico e materiale per il soddisfacimento di bisogni primari.

Secondo don Vito Piccinonna, la pandemia ha divaricato la forbice delle disuguaglianze sociali e, nonostante un welfare che a suo dire funziona, è necessario prestare maggiore attenzione alle fasce più giovani, perché sono quelle più esposte ad un futuro incerto e le prime vittime potenziali delle lusinghe di guadagni facili, che spesso portano a sfociare nell’illegalità.

Povertà non solo economica, dunque, ma anche sociale, alla quale devono far fronte le parrocchie e la Caritas, ma soprattutto le amministrazioni locali.

 

BitontoLive.it ha chiesto a Gaetano De Palma, assessore al welfare e ai servizi sociali del Comune di Bitonto, di fare un quadro chiaro e puntuale sull'emergenza sociale in città e di spiegare nel dettaglio quali attività di sostegno alla comunità sono state messe in campo per far fronte ad una situazione che ha colto tutti impreparati: istituzioni, cittadini, famiglie.

 

Dall'intervista di don Vito Piccinonna è emersa una situazione sociale drammatica dovuta alla crisi economica causata dalla pandemia, con l'arrivo di 6.700 nuove richieste di aiuto nelle 126 parrocchie del territorio della Caritas Bari-Bitonto. Nella nostra città qual è la situazione socio economica attuale? 

«La pandemia purtroppo ha fatto emergere il fenomeno delle cosiddette nuove povertà, ovvero situazioni prima sconosciute ai servizi sociali e agli enti caritatevoli che si occupano di dare assistenza. Sono le situazioni di cittadini o nuclei famigliari che, alla vigilia della pandemia, non avevano problemi di natura economica, magari avevano attività di lavoro autonomo: penso ai commercianti, che da un momento all'altro si sono ritrovati a non avere un reddito garantito perché alcune attività sono state chiuse per diversi mesi, così come penso ai lavoratori dipendenti, bloccati dallo stop di alcune attività lavorative, compensato solo in parte dagli aiuti del Governo.

È ovvio che una parte di queste famiglie si è rivolta non solo alla Caritas e alle parrocchie ma è venuta anche a contatto con i Servizi sociali, come gli ambulanti, i commercianti, le famiglie monoreddito o rimaste prive della fonte di reddito mensile, in difficoltà non tanto per l'acquisto di generi alimentari, a cui comunque abbiamo tentato di fare fronte attraverso tre campagne di erogazione di buoni spesa e attraverso la distribuzione di pacchi alimentari in questi due anni di pandemia. Ma le difficoltà maggiori riguardavano il pagamento dei canoni di locazione e delle utenze, ed anche qui l'amministrazione si è impegnata per cercare di sostenere queste necessità ed evitare che i mancati pagamenti diventassero motivo di pregiudizio, causando situazioni di sfratto o tagli delle utenze.

Effettivamente c'è stato tutto un mondo nuovo che si è affacciato per la prima volta agli uffici dell'area welfare del Comune di Bitonto, rappresentato da cittadini e famiglie che solitamente non rientrano nell'utenza che richiede il sostegno comunale. Dico di più: ormai da tre anni a Bitonto quasi 4mila famiglie beneficiano del reddito di cittadinanza. E questi nuclei famigliari durante la pandemia non hanno necessitato di aiuti particolari, perché comunque il reddito è servito da paracadute nel momento della crisi, per fronteggiare le loro necessità».

 

Le parrocchie sono in rete con l'amministrazione comunale? I cittadini preferiscono rivolgersi alle parrocchie perché il welfare comunale è carente o per chiedere un aiuto in più?

«Il rapporto con la Caritas locale, le parrocchie e la rete del Banco delle Opere di Carità è stato proficuo durante tutto il periodo della pandemia. Oltre alla collaborazione si è tentato di creare una sorta d’incrocio dei dati per capire quali situazioni sfuggivano ai servizi sociali e di contro quali situazioni richiedevano ulteriore aiuto da parte degli enti caritatevoli. Collaborazione che si è concretizzata nella distribuzione dei pacchi alimentari. Non escludo che spesso i cittadini e le famiglie si rivolgano alle parrocchie o alla Caritas per ricevere aiuto in termini di generi di prima necessità o di sostegno ai pagamenti, perché è uno strumento certamente più veloce rispetto alle richieste rivolte al Comune, per le quali sono necessarie istruttorie e tempi più lunghi per innescare il procedimento amministrativo finalizzato all'erogazione dell'aiuto. Altra motivazione: con il contatto diretto con parrocchie o Caritas si tenta di sfuggire ai controlli necessari che invece gli uffici del welfare fanno sulla condizione di bisogno. È una via più semplice e immediata.

Nello specifico, oltre alle tre campagne di erogazione di circa tremila buoni spesa (ad inizio 2020, a fine 2020 e a fine 2021) per i quali abbiamo investito più di 668mila euro a favore di 1.233 utenti o nuclei famigliari,  abbiamo consegnato duemila pacchi alimentari tra aprile 2020 e gennaio 2022. Non solo: abbiamo sostenuto i pagamenti per canoni di locazione e utenze, contribuendo ai bisogni di quasi 200 famiglie per un totale di oltre 74mila euro di fondi Covid impiegati, e consegnato voucher alimentari a 255 utenti o famiglie, oltre ad interventi specifici. Ammetto che  il cittadino può sentirsi più accolto e compreso dalle parrocchie e dalle associazioni caritatevoli, ma il Comune c'è ed è pronto a fare la sua parte, sempre».

 

 

Don Vito paventava il rischio, per i giovani soprattutto, di rivolgersi ad un "welfare illegale". Cosa ne pensa?

«Non so di preciso a cosa si riferisse don Vito, ma anche guardando ai fatti di cronaca degli ultimi giorni, è chiaro che i guadagni facili sono più allettanti per i giovani, quindi è più facile rivolgersi al malaffare che cercare un posto di lavoro che ti porta a fine mese uno stipendio. È più veloce ottenere cifre ben più alte in maniera più semplice, ma è una questione anche di valori: come amministrazione dobbiamo fare la nostra parte, ma è chiaro che bisogna agire in maniera collegiale, integrata, perché se la prospettiva di guadagno serve a soddisfare solo bisogni materiali, come abito firmati o telefonino all'ultimo grido, non sarà il reddito di cittadinanza o l'aiuto del Comune o della parrocchia a soddisfare questa corsa continua al soddisfacimento dei bisogni materiali o dell'apparire.

È un discorso lungo e complesso, bisognerebbe cominciare ad agire nelle scuole per insegnare ai giovani quali sono i valori per cui vale la pena spendersi, combattere e studiare. Il ricorso al “welfare illegale”, dunque, credo sia solo una scorciatoia per avere più soldi ed in maniera più veloce. Il welfare, inteso come sistema economico e sociale, rappresentato dal Comune e dalle associazioni del terzo settore, può intervenire nei momenti di difficoltà straordinaria del cittadino o del nucleo famigliare, ma dovremmo pensare al welfare come una rete di soggetti e di interventi che si occupano di garantire il benessere sociale ed economico dei cittadini. È ovvio che per fare questo c'è bisogno di altro, come incentivare il diritto alla casa a condizioni favorevoli per i nuclei famigliari, realizzare interventi per creare occasioni di lavoro che escano dalla prospettiva di precarietà e possano assicurare un reddito fisso che possa permettere ai giovani cittadini di crearsi una famiglia. In tutto questo il Comune solo marginalmente, così come le parrocchie e le associazioni, può fare la propria parte: ci vogliono politiche strutturali che devono partire dallo Stato centrale e dalla Regione, che esulano dall'impegno nostro sul territorio. Un impegno che comunque esiste ed è concreto, come dimostrano i dati degli aiuti e dei sostegni economici che abbiamo fornito».

 

Dunque, i nuovi poveri sono davvero i giovani?

«Credo che s’intenda non solo povertà materiale ma anche perdita di punti di riferimento, di valori, che per i giovani erano e sono rappresentati dalla famiglia che si va via via sgretolando ed è carente dal punto di vista sia economico (non sempre i nuclei famigliari sono in grado di soddisfare i bisogni primari dei propri figli) sia spirituale. Non possiamo essere solo noi, come amministrazione comunale o istituzioni sociali, ad affrontare questa battaglia, c'è bisogno di un discorso di sinergia con le famiglie e di investimenti di risorse a supporto dei nuclei famigliari. Noi ci impegnano a realizzare iniziative finalizzate al sostegno scolastico ed educativo, all'impiego in attività di pubblica utilità, ad iniziative di carattere sportivo, culturale e ricreativo, ma è chiaro che è solo una goccia nel mare magnum del supporto sociale che andrebbe costruito, a partire dalle famiglie».

mercoledì 2 Marzo 2022

(modifica il 4 Luglio 2022, 16:56)

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